Un caffè a Scampia, anzi… due

“Le Vele” di Scampia. Immagine web

È il 2015, l’attacco del parroco di Scampia allo scrittore Saviano con l’invito a non fomentare terrorismo a sfondo discriminatorio, perché la mafia non si combatte solo a parole ma sul posto e con i fatti.

Qualche giorno dopo andai a Scampia, invitata da Vincenzo Monfregola presidente di un’associazione che opera in sostegno dei bambini, nata proprio tra le “Vele”, esperienza condivisa con la giornalista Rosa Schiano e la scrittrice Serena Gaudino di cui conservo gelosamente il suo “Antigone a Scampia” (autobiografia collettiva femminile di un quartiere difficile)

Le “Vele” sono costruzioni che grondano cemento di dubbia qualità, frutto della speculazione edilizia degli anni ’60, diventate il simbolo del degrado urbano causato dalla mancanza totale della presenza dello Stato che, dopo la costruzione di un quartiere che doveva prevedere aree verdi e lo sviluppo di un terziario a misura di cittadino, ha tirato i remi in barca lasciando spazio a un’urbanizzazione smisurata e selvaggia, senza alcun controllo delle autorità preposte. Il degrado ha posto in fretta le sue radici; nessuna tutela, nessun controllo o servizi ai residenti, nessuna mano tesa e il “fai da te” imperversante ha fatto il resto. È storia nota, la malavita ha allungato i suoi tentacoli ovunque e chiunque ne paga lo scotto.

Gomorra di Matteo Garrone, portato sul grande schermo e tradotto in otto diverse lingue, girato quasi interamente tra gli esterni, gli interni, le scalinate e i pianerottoli delle Vele ha contribuito a marchiare quest’area di Napoli e a darne un’immagine che difficilmente Scampia potrà scrollarsi di dosso. Ma c’è chi rifiuta l’etichetta imposta cercando un riscatto almeno per i propri figli.


– Non siamo tutti delinquenti a Scampia…
L’autobus sarebbe arrivato fra circa quarantacinque minuti. Sostai in un piccolo bar di Piazza Garibaldi, a poche decine di metri dalla fermata. Ordinai un caffè e intanto cominciai a buttare giù degli appunti riguardo all’esperienza appena vissuta. Sul tavolino i libri scambiati con le altre autrici. La voce del giovane proprietario mi prese alla sprovvista. Lo guardai con fare interrogativo.
– Lei è una che scrive, ormai ci ho fatto l’occhio, di qua passano, vanno e scrivono male di noi. Lei cosa scrive? Io leggo molto, soprattutto “Gialli, ho riempito di libri la scarpiera. Le scarpe sono andate nel ripostiglio.
– Scrivo ciò che mi passa per la testa, soprattutto poesie. Quelle mi passano spesso.
– Mmmm… complicate.
– E tu cosa vorresti che scrivessero su Scampia?
Avevo poco tempo per i convenevoli e fui sbrigativa come lui.
Che non siamo solo Gomorra, ormai ci conoscono così anche all’estero.  Io ho aperto questo bar con mio fratello, lavoriamo anche dieci ore al giorno con turni stressanti e lo Stato che ci ammazza di tasse. I nostri genitori ci hanno mandato a scuola, ci volevano fuori da Scampia ma noi, non ci assume nessuno.
– In che senso non vi assumono?
– Non ci vogliono, ci hanno impresso un marchio a vita. A Scampia sono tanti i giovani laureati, con sacrifici da parte dei genitori che sperano in un’opportunità per i figli; prendono una laurea e poi non trovano lavoro perché non ispirano fiducia. I più fortunati o quelli più coraggiosi vanno all’estero e Scampia si svuota, ci rimangono donne, vecchi, bambini e microcriminalità. Tutti ci additano come delinquenti; è vero ce ne sono, ma perché è zona franca, una terra di nessuno in cui le istituzioni, le forze di polizia sono latitanti, ma fra noi sono molti gli onesti. E se lei sta qui lo ha visto. O no?

A occhio doveva avere l’età dei miei figli, intorno ai venticinque anni, lo sguardo vivace e attento. Non smetteva di lucidare il tavolino mentre il fratello con la stessa foga strofinava il bancone. Era un locale piccolo ma lustro, ordinato. “Umile ma onesto” avrebbe detto Troisi. Si respirava un buon aroma di caffè misto al profumo dei detergenti.
– Scampia fa comodo, è scaricare le proprie coscienze in un ghetto che altri hanno voluto, non noi.  Io non voglio andar via, io e mio fratello ci restiamo, sperando di mantenerci con questo bar che abbiamo aperto con l’aiuto dei nostri genitori. Ci tengo a dire che c’è una Scampia di cui nessuno parla.
Un tono di voce fermo e dignitoso.
Il caffè era ottimo, ho atteso che la tazzina bollente si raffreddasse prima di poterla accostare alle labbra. La nostra conversazione continuò nonostante il via vai dei clienti. Ordinai un secondo caffè.
La tazzina deve essere ben calda, è uno dei nostri segreti. Il caffè non deve subire lo sbalzo termico – mi spiegò.
Questo non è più un segreto, ormai lo fanno quasi tutti.
– Ehhh ma agli altri non viene bene come a noi, abbiamo il caffè nel DNA – sorrise – A Napoli si segue un vero e proprio rito per la preparazione, il caffè è un’arte. In Puglia ve lo sognate!
– Sarà anche buono il vostro caffè, ma con la pizza non ci batte nessuno, altro che pizza napoletana! Sfatiamo questo mito.
L’alterco sulla pizza fu tragicomico. Guardai l’orologio, con dispiacere mi accorsi che il tempo era volato. Mi alzai e andai alla cassa.
– Il secondo caffè alla signora lo offriamo noi – ordinò al fratello che stava per battere lo scontrino.
– No, non ci pensare proprio!
– Così ci offende, possiamo ancora permetterci di offrire un caffè a chi viene a farci visita a Scampia.
– Non posso, davvero..
Lo scontrino marcava ormai novanta centesimi. Non trovavo le parole giuste per ringraziare. Il locale si era affollato, i due fratelli si alternavano con le ordinazioni.
Facciamo così, quando torna a Scampia viene di nuovo qui a prendere il caffè e lo paga il doppio. Ci sta? – concluse, avvertendo il mio disagio, dandomi ormai già le spalle, indaffarato dietro al bancone.
– Promesso!
Mi affrettai verso la fermata dell’autobus. Nel trambusto non si accorse del mio libro che lasciai accanto alla cassa. Lo avevo già dedicato, al tavolino, prima che mi offrisse il caffè.

Qualcosa mi dice che lo avrà letto… o comunque sarà nella scarpiera, insieme ai suoi Gialli.

A me è rimasto l’aroma di un buon caffè, pulito.  

Maria Teresa Infante
Breve estratto da un mio articolo del 2015

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