Un sorriso in cambio di una stella. Ciao Roberta

Mi verrebbe da dire “fermate il mondo” ma sarebbe l’estrema banalità a conferma di uno stato mentale in cerca di giustificazioni che non arriveranno mai. Verrebbe da dire “basta, basta!” Ma basta cosa, a chi? A chi rivolgersi, imprecare, chi condannare e chi assolvere? Chi è il mostro, dove alberga, a quale fonte si alimenta? Il nemico è sconosciuto eppure presente ovunque; è con noi, tra noi, ci alita accanto, ci dorme accanto, siede alla nostra tavola, beve il nostro sangue fingendo sia acqua, ha mille volti e mille sembianze, sempre alternanti, cangianti, camaleontici. A volte ci dona un fiore, altre colpisce al cuore.

Un padre/madre, un marito/moglie, un balordo conosciuto per caso o l’amico con cui si è condivisa una vita, un cane trovato per strada o il fringuello che canta al mattino. Chi è il nemico da combattere? E noi chi siamo, se non siamo in grado di riconoscere il male, fuori e dentro di noi? Sì, perché additare è troppo poco, dobbiamo imparare ad analizzarci, a comprenderci, per metterci al riparo anche da noi stessi. Potremmo impazzire ostinandoci imperterriti a cercare risposte che mai avremo e per autodifesa continuiamo a vivere, a respirare, camminare per strada senza conoscere la via, costretti a procedere per non essere calpestati dall’orda cieca che corre furiosa. Verso il baratro.

La mia città, San Severo (FG), attende di dare l’estremo saluto a una delle sue figlie, Roberta Perillo di soli 32 anni (e so bene che dovrei scriverlo in lettere ma le cifre restano meglio in mente); bella, bella come una stella, se questo può fare differenza. Solare, solare come il sole che sfolgora sulle nostre piane.
Non sono riuscita a parlarne fino ad ora, ho i miei tempi, ho bisogno di assicurarmi che non sia un incubo e rigetto la verità; è una mia necessità affondare la testa nella sabbia, aspettando che il risveglio scacci gli spettri che fanno paura. La vitalità emanata dal suo sorriso è un pugno in faccia, per chi ancora conserva una faccia.

Invece sono trascorse tre notti, l’incubo è continuato, i fantasmi sono diventati reali. Roberta non c’è più, è volata via ma il suo sorriso è rimasto impigliato a un lembo di paradiso, sceso qui, su questa sporca terra, per lasciarci qualcosa da ricordare, oltre tutto ciò che si vorrebbe dimenticare.

Siamo sporchi e zozzi incartati in abiti che inamidano la nostra decenza; siamo piccoli e miseri, siamo esseri ripugnanti e gretti, eppure c’è chi cerca di giustificare l’ingiustificabile, c’è chi vorrebbe farci credere che siamo ancora umani.

Ma oggi sono più sveglia di sempre e sto analizzando, leggendo articoli, statistiche, dati, con uno sguardo intorno. La TV, la guardo così poco, ma quel maledetto notiziario… mio Dio, ho dovuto coprirmi le orecchie, tapparle, stringerle tra le mani, ma non è servito. Un colpo sordo allo stomaco, nausea e orrore, rabbia. Tanta rabbia!

Poche ore fa il sorriso di Roberta si è incastonato in quello di una piccola di sedici mesi, scagliata dal padre 35enne dal balcone. Solo sedici, dico 16 mesi! 16/16/16! In che maniera si può affrontare un simile argomento con una penna in mano? Io sto pigiando forte, sempre più forte la tastiera del pc e mi accorgo che sto scaricando bile e veleno. Forse è stata la molla che ha fatto traboccare il mio stomaco.

C’è chi rigetta l’ipotesi del femminicidio per Roberta (guarda caso voleva lasciarlo) perché il ragazzo faceva uso di farmaci; ok, se può fare piacere chiamiamolo pure omicidio, cosa cambia? Magari servisse a riportarla in vita. I fatti sono che è stata strangolata, fa male, tanto male!

Intanto i notiziari sottolineano che il papà di San Gennaro Vesuviano (NA) era depresso e i due genitori erano in fase di separazione (guarda caso-ritorsioni verso la moglie per ucciderla da viva).  Spengo la TV.

Ora andiamo a dirlo a un angelo di sedici mesi che il padre si era leggermente irritato o forse un po’ incazzato e non ha saputo arginare le emozioni. Chi glielo dice? Io no, me ne vergognerei, fatelo voi se potete. Magari anche per la bimba di due anni, uccisa dalla madre depressa in aprile, o per tutte le Roberta che non hanno potuto prendere a morsi i sogni che stavano accumulando sul cuscino. E sono state prese a calci e pugni o peggio ancora pugnalate, strangolate, arse vive. Avete dimenticato? Non fatelo, non lo meritano.

Emerge un dato allarmante e non credo sia l’unica a notarlo; se la maggior parte dei carnefici ha disturbi comportamentali e di relazione o legati a problematiche psichiche – senza andare a riprendere versioni di psicoterapeuti, criminologi ecc. perché sto scrivendo all’impronta – forse il sistema medico-sanitario ha delle falle, dei buchi grossi come voragini in un colabrodo. Forse l’intero sistema assistenziale è da rivedere se non vogliamo rischiare l’estinzione.

Leggo ancora di Roberta, i social sono tremendi senza quei necessari filtri che servirebbero più della crema solare per non ustionare con la forza delle parole.

Non sono cinica, né stupida (ma questo non posso assicurarvelo); sappiamo bene che esistono due famiglie che stanno attraversando uno dei momenti peggiori della loro vita.
L’una sta soffrendo le pene dell’inferno; dovrà affrontare la gogna, i giudizi, i processi; una famiglia distrutta dalla sofferenza.

L’altra non è una famiglia distrutta; semplicemente non è più una famiglia.

Così come un tavolo con una gamba in meno, una farfalla con l’ala spezzata, un calice senza il fondo che non potrà mai essere colmato. E chissà perché mi vengono certi paragoni, ma è pensare a un qualcosa che non avrà più la sua funzione d’origine, sarà sempre manchevole. Ci sarà sempre un pezzo di cuore in meno a mandare stilettate, a toglierti l’aria dal petto, a soffocarti ad ogni ricordo. A dirti che sei ancora vivo anche quando non vorresti. Di più non vorrei dire.

Contaminare un dolore o giudicare è aggiungere male ad altro male – a questo ci penserà già la magistratura e purtroppo anche il fracasso dei media – ma è nostro dovere non dimenticare le vittime innocenti che attendono risposte. Alcune da anni. Glielo dobbiamo; per tutte le mamme, i figli, per tutti coloro che hanno conosciuto la sofferenza estrema, per tutti coloro che sono stati derubati del diritto alla vita.  

Ci rimane un sorriso, poggiato su un foglio di carta o a brillare da un monitor anche da spento.
Io non conoscevo Roberta, ma conoscevo gli occhi che si portava addosso.
Non conoscevo Roberta, ma la incontro ogni giorno, nel sorriso di ogni ragazza che incontro.

Roberta ora è dove ogni cosa è pace, dove non c’è dolore, cullata dalle braccia di Madre.

E forse chissà, da quell’angolo di paradiso magari di tanto in tanto scenderà una mano ad accarezzare il pianto, a conforto di chi rimane e non sa cosa sia a fare più male: se la vita o la morte.

“Si sveste anche la luna, non c’è festa questa sera,
c’è da aggiungere una stella sopra il manto del creato.”

Ciao Roberta

Maria Teresa Infante

3 pensieri riguardo “Un sorriso in cambio di una stella. Ciao Roberta

  1. Dolore e rabbia senza fine

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    1. Purtroppo, e grande senso di smarrimento e impotenza. Grazie di cuore per l’attenzione

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